Sono appena rientrata in camera dopo aver lungamente ammirato il cielo australe stellato, con la via lattea in primo piano, alla ricerca di qualche stella cadente. Che meraviglia poter vedere il cielo stellato senza luci artificiali che lo oscurano… credo che saremmo tutti un po’ più felici se lo potessimo fare tutte le sere!
Vi chiedo scusa per la mail volutamente provocatoria che ho inviato settimana scorsa, se ho urtato la sensibilità di qualcuno mi dispiace. Ho voluto scrivere così perché è la prima cosa che mi è venuta in mente… voleva essere una provocazione, verso di me innanzitutto.
Quelle persone che vi ho descritto così sono i più poveri dei poveri del Ruanda. Sono persone appartenenti alla terza etnia del paese (oltre ai Tutsi – i famosi Watussi – e gli Hutu) che è l’etnia dei pigmei, chiamati Twa. Diciamo che sono un po’ paragonabili (prendetemi con le pinze…) all’etnia Rom, soprattutto per le condizioni di emarginazione e di degrado in cui vivono. Tradizionalmente questa etnia viveva nelle foreste e si dedicava alla caccia e alla produzione di vasellame, mentre gli Hutu erano agricoltori e i Tutsi allevatori. Sta di fatto che con l’urbanizzazione del Ruanda, i Twa hanno perso le loro condizioni originarie di vita e ora vivono ai margini della società, chiedendo l’elemosina, producendo vasellame e, in certi casi, rubando. Purtroppo c’è un alto tasso di alcolismo, quindi, spesso, quando si regala loro del cibo o dei vestiti per i bambini, gli uomini li vendono per comprarsi la birra. Io sono andata a trovarli nel quartiere in periferia di Butare dove abitano, accompagnata da Padre Laurent, sacerdote che da qualche anno ha iniziato un progetto per aiutarli e, soprattutto, aiutarli ad auto-aiutarsi. Loro vivono nelle peggiori condizioni igieniche pensabili, senza acqua (la città è in collina e l’acqua è a valle, distante dei km), in delle “case” senza porte né finestre, dove vivono diverse famiglie insieme (tipo 20 persone in 20 metri quadri…). Non hanno materassi né coperte. Dormono sulla nuda terra. Queste case le hanno perché P. Laurent gliele ha costruite. Figuratevi che non avevano neanche i bagni. Ora Maezinha (la fondatrice della comunità dove sto io), glieli ha fatti costruire. I bambini non hanno vestiti, non parliamo di mutandine o di pannolini che proprio non sono neanche presi in considerazione, vi lascio immaginare…
Padre Laurent li aiuta anche insegnando loro a coltivare la terra (attività che non era contemplata nella loro cultura originaria), cosa che però riesce difficile perché molti non concepiscono l’idea di lavorare tutti i giorni. Purtroppo la cosa più difficile è farli uscire dalla loro mentalità fatalista, ostacolo più grande al miglioramento della loro condizione di vita, anche perché, paradossalmente (per una occidentale come me), loro non sono affatto infelici! Questa è una cosa che mi lascia assolutamente di stucco. Per me, abituata non solo a una vita con il necessario ma anche molto superfluo, è inconcepibile pensare di poter essere felice vivendo senza niente davvero.
Questa cosa mi interpella profondamente e mi fa pensare che c’è qualcosa che non quadra. Com’è che loro (e non solo loro ma tutti i ruandesi, per quello che ho potuto vedere), per quanto abbiano poco, sono così felici? Non è il solito discorso da buonista, ma questa cosa un po’ mi sconvolge. Qui non ho mai visto nessuno con il “muso”, proiettato solo su di sé, che rincorre una meta che, quando raggiunta, lo lascia insoddisfatto come prima. Ovviamente non ho la pretesa di conoscere tutti i ruandesi, come non ho la pretesa di conoscere tutti gli europei, ma ci sono cose che non hanno bisogno di parole per essere comprese. Le senti, punto e basta.
E quindi mi guardo, e penso a quante parole inutili, quante cose inutili nella mia vita, che mi tengono lontana dall’essenziale, che poi è l’Amore con la A maiuscola (che io chiamo Dio), in tutte le forme in cui si manifesta. Amore che non si può studiare sui libri né conoscere per sentito dire, ma che si deve vivere, sperimentare, sentire sulla pelle, e qui, ne sono sicura, le persone lo vivono e lo sentono. Spero di poterne “approfittare” un po’ anch’io… Questo è il motivo fondamentale per cui tutti questi poveri non mi fanno pena né compassione (certo mi impegno, per quanto posso, per poter dare loro condizioni di vita più dignitose, diritto di ogni persona umana), semplicemente perché sono molto più felici di me e di molte persone che conosco e che ho conosciuto.
Quindi mi chiedo: chi è veramente più povero? La risposta me la dà Madre Teresa di Calcutta:
“Certe volte, i giornalisti mi hanno domandato: «Dal momento che in India esiste una povertà così grande, come le viene in mente, Madre Teresa, di inviare le sue Sorelle in paesi meno bisognosi?» Per questa domanda tengo sempre pronta a fior di labbra una risposta, che è la seguente: «La povertà dell’Occidente è molto peggio della povertà materiale dell’India. Per quale ragione dovremmo limitare la nostra opera di apostolato a un paese soltanto, quando anche altri ci chiamano? Ripeto: esistono due tipi di povertà. In India vi sono persone che vivono e muoiono in mezzo alla fame. Lì, anche un pugno di riso è prezioso. Nei paesi dell’Occidente non esiste la povertà materiale nel senso che diamo a questa espressione. Non vi è nessuno in quei paesi che muoia di fame. Nessuno arriva a patire una fame del tenore di quella che molti patiscono in India. Ma in Occidente esiste un altro genere di povertà: la povertà spirituale. Questa è molto peggiore. La gente non crede in Dio, non prega. Ci si volta le spalle gli uni agli altri. In Occidente esiste la povertà di persone che non sono soddisfatte di quello che hanno, che non sanno soffrire, che si abbandonano alla disperazione. Questa povertà del cuore è spesso più difficile da soccorrere e da sanare. In Occidente sono più numerosi i focolari domestici infranti, i bambini abbandonati, e il divorzio raggiunge livelli molto più elevati. Mi trovavo in Giappone, e mentre camminavo per una strada di Tokyo, mi avvidi di un uomo ubriaco che giaceva lungo il bordo di quella stessa strada. Parlando a un gruppo di Collaboratori, dissi loro: «Voi siete un paese ricco, ma in una delle vostre strade ho visto un uomo che giaceva per terra ubriaco senza che nessuno si preoccupasse di raccoglierlo, senza che nessuno mostrasse il minimo interesse per lui, senza che nessuno cercasse di riconoscere la sua dignità umana, senza che nessuno cercasse di fargli prendere coscienza della sua condizione di fratello, di figlio di Dio»”.
Ovviamente potete anche non essere d’accordo con la mia riflessione che non ha la pretesa di essere universale… parla innanzitutto di me e di quello che sento!
Chi volesse può guardare il mio album web aggiornato con le foto dei Twa e della distribuzione di alimenti che abbiamo fatto con P. Laurent (con 160 € abbiamo dato da mangiare per 1 settimana a 148 persone, cioè 41 famiglie).
Vi abbraccio!
Con affetto,
Claudia